Salotto con vista API

1. Salotto con vista API Falconara

Voi siete matti. Comprare la casa? Ma avete visto cosa c’è fuori dalla finestra? Ah, non vedete nulla di speciale? Quella, cazzo, la raffineria. Già, L’Api. Tanti anni che la vedete che vi siete abituati, ormai fa parte del paesaggio. Ma non avete voglia di affacciarvi alla finestra e vedere qualcosa di diverso? Magari delle altre case, panni stesi, una signora che prende il sole su una sedia di plastica. Così potete parlare di qualcuno, ammirare, criticare. Anche stupirvi, meravigliarvi. Insomma, osservare una realtà che si modifica. Qui guardate fuori e tutto è sempre uguale. Di giorno e di notte. Per vedere un po’ di colore dovete guardare la televisione.

Che vuol dire che l’Api si vede da ogni parte di Falconara? Qui ce l’abbiamo proprio di fronte. Dall’alto, da sopra la chiesa, almeno sembra ferraglia innocua, vecchia, grigia. Ma qui, da questo salotto con le tendine di pizzo, si vede che è vero, vivo e pericoloso. Tu non alzare le spalle. Ti ricordi quella volta che eri in autobus e hai sentito il botto e poi mi hai telefonato: deve essere saltata l’Api, hai detto, vai a vedere come sta la gatta. Cosa significa che qui avete sempre vissuto e che è la vostra casa? Come potete pensare di sedervi in poltrona e guardare la raffineria fino alla fine dei vostri giorni? Che senso ha pagare questo panorama con i risparmi di una vita? Dovrebbero regalarvela questa casa come premio fedeltà: vent’anni di salotto con vista Api. Complimenti!

No, avete ragione, non capisco e non capirò mai. Non capisco più nemmeno questo posto. Si era detto che il tempo del petrolio era finito. Invece l’Api è sempre lì. E Falconara muore. Muore dentro. Dei nostri non ci lavora quasi più nessuno, vengono da fuori. Da posti dove l’Api non c’è. Goccia dopo goccia la terra si intride di chimica che poi si riversa a mare. Chimica e tempo non vanno d’accordo. La chimica ha dita, scava nel profondo per non andarsene più. O il più tardi possibile. Tempo della chimica e tempo delle parole. Sono stanco di sentire parlare dell’Api. E della raffineria si parla sempre. Non c’è rifugio. Anche quando la musica o il buon cibo dovrebbero lasciarla fuori della porta, c’è sempre qualcuno che riprende il discorso. Forse avete ragione, è meglio averla appena fuori della finestra del salotto. Così il discorso è chiuso. Eppure non posso smettere di sognare di svegliarmi la mattina e non vedere più acciaio e tubi arrugginiti. Saremmo costretti a tutti a riprogettare il futuro di Falconara. Pensate che cosa straordinaria. Magari vi verrebbe voglia di cambiare il divano e la credenza e di rimanere ora alla finestra a guardare il mare.


2. Isola con vista Falconara

Tesserino e controlli. Obiettivo sensibile del terrorismo. Soldati armati all’esterno del perimetro. Un’occhiata alla bacheca dei comunicati sindacali e poi dritto nello spogliatoio, scarponcini, casco, occhiali, cellulare con dispositivo antidetonante. Basta poco e qui diventa l’inferno. Appena fuori del piazzale un cartellone digitale: 69 giorni senza incidenti. Vediamo di battere il record. Il furgone passa a fianco all’area sigillata dalla magistratura. Sembra di essere in Iraq. Cisterne sventrate, autocisterne contorte. Guardiamo tutti senza commentare. Due minuti e arriviamo al cancello fiscale numero 8. E qui inizia la giornata. Una sessantina di passi al pontile e poi con la pilotina fino all’isola. Oggi il mare è tranquillo. Fa un freddo boia ma il cielo è limpido. Verifica delle attrezzature. Tutto a posto. Verifica dei sistemi di pompaggio. Tutto a posto. L. chiama al cellulare. È in pensione da due mesi ma la squadra era la sua famiglia. Ci ha visto arrivare dalla finestra della camera da letto.

Allora ragazzi come va? Tutto a posto. Poi chiede dell’isola. Non gli sembra vero di non poterci più andare. Tutto a posto. Chiede cosa mangeremo stasera. Allora gli rifilo una balla. Scatolette, rispondo. Ma lui sa che non è vero. Terminato il lavoro ci chiuderemo in cucina e via con le tagliatelle. Le tiro io che sono un artista. Prima di chiudere mi chiede come sta la bionda. L’aveva attaccata lui in cucina. Una con certe tette. Tutto a posto, rispondo. Lavoriamo bene, capita sempre qualche problema e noi ci dobbiamo inventare la soluzione. Qui si lavora così. Bisogna arrangiarsi. Non lascerei mai la squadra. Mi piace. Abbiamo responsabilità ma siamo tutti dei veri professionisti. Qui non succederà mai nulla. Né botti, né inquinamenti. Mi piace incontrare gli equipaggi delle navi.

Trovi gente di tutti i tipi. A volte simpatici, altre rompicoglioni. Ma alla fine diciamo noi come si fanno le cose. Questa è la nostra isola. Di notte, prima di andare a letto, guardo sempre Falconara. Prima l’Api e poi le case. Dall’altra parte, verso sud c’è il mio paese. Dalla mia finestra non si vede l’isola. Quando sarò in pensione non vedrò la pilotina che parte dal pontile. Ma io, tanto, non chiamerò mai. Certo mi mancherà la squadra ma quando uno smette di lavorare ci deve mettere una pietra sopra. Anche F. e G. hanno smesso di chiamare. L. è in pensione da poco. Ancora non si è abituato. Fuori dall’Api ognuno fa la sua vita, non ci si vede mai, ma quando sei di turno esiste solo la squadra. La sera si parla di tante cose e la notte hai tempo di pensare. E l’indomani, se il mare lo permette, rimonti sulla pilotina e riattraversi il cancello fiscale numero 8. Tesserino e controlli anche all’uscita. Poi il piazzale, l’auto e la provinciale. Poi un’ultima occhiata all’isola prima di andare a sud. A casa.


3. Casotto con vista Falconara

Allora ragazzi come va? Tutto a posto. Poi chiede dell’isola. Non gli sembra vero di non poterci più andare. Tutto a posto. Chiede cosa mangeremo stasera. Allora gli rifilo una balla. Scatolette, rispondo. Ma lui sa che non è vero. Terminato il lavoro ci chiuderemo in cucina e via con le tagliatelle. Le tiro io che sono un artista. Prima di chiudere mi chiede come sta la bionda. L’aveva attaccata lui in cucina. Una con certe tette. Tutto a posto, rispondo. Lavoriamo bene, capita sempre qualche problema e noi ci dobbiamo inventare la soluzione. Qui si lavora così. Bisogna arrangiarsi. Non lascerei mai la squadra. Mi piace. Abbiamo responsabilità ma siamo tutti dei veri professionisti. Qui non succederà mai nulla. Né botti, né inquinamenti. Mi piace incontrare gli equipaggi delle navi. Trovi gente di tutti i tipi. A volte simpatici, altre rompicoglioni. Ma alla fine diciamo noi come si fanno le cose. Questa è la nostra isola.

Di notte, prima di andare a letto, guardo sempre Falconara. Prima l’Api e poi le case. Dall’altra parte, verso sud c’è il mio paese. Dalla mia finestra non si vede l’isola. Quando sarò in pensione non vedrò la pilotina che parte dal pontile. Ma io, tanto, non chiamerò mai. Certo mi mancherà la squadra ma quando uno smette di lavorare ci deve mettere una pietra sopra. Anche F. e G. hanno smesso di chiamare. L. è in pensione da poco. Ancora non si è abituato. Fuori dall’Api ognuno fa la sua vita, non ci si vede mai, ma quando sei di turno esiste solo la squadra. La sera si parla di tante cose e la notte hai tempo di pensare. E l’indomani, se il mare lo permette, rimonti sulla pilotina e riattraversi il cancello fiscale numero 8. Tesserino e controlli anche all’uscita. Poi il piazzale, l’auto e la provinciale. Poi un’ultima occhiata all’isola prima di andare a sud. A casa.

Era dall’altra parte del nostro mondo. Da una parte il fiume, dall’altra le villette e davanti il mare. Forse perché è inverno, forse perché non c’è nessuno, ma non riesco a smettere di guardare in quella direzione. Il pontile della raffineria sembra un artiglio piantato nel mare. Cammino tra i casotti, cerco di ricordarli abitati. Tornano a galla volti e storie di ragazzi. E ragazze. Si chiamava Tosca. Io ero imbranato e lei tagliò corto ficcandomi la lingua in bocca. Accadde un fine agosto proprio sulla riva del fiume. Mi dirigo verso l’argine per ritrovare il punto esatto. Attraverso un canale d’acqua ferma, puzzolente. Il posto lo riconosco. Alzo lo sguardo e mi ritrovo a fissare enormi depositi, forse si chiamano cisterne, non so. Alla fine trovo il coraggio di aprire il lucchetto. Il casotto sa di muffa. Apro cassetti, ante di armadi, osservo oggetti senza curiosità. Mi distendo sul letto, cercando di immaginare l’estate, la vacanza. Non ci riesco. Mi sento un estraneo. E poi tutto mi ricorda mio padre e mia madre. Loro qui erano felici. Io non riuscirei nemmeno a divertirmi un po’. E poi dovrei venirci da solo. Anna si rifiuterebbe. Mi chiederebbe come è possibile trascorrere le vacanze in una baracca a due passi da una raffineria. E non riuscirei a spiegarlo. È impossibile raccontare la storia di certi luoghi. Mi rialzo ed esco senza chiudere la porta. Questo casotto non mi appartiene più.