Alcuni anni dopo la morte di Adriano Olivetti, Cappai e Mainardis iniziano il progetto di questa unità polifunzionale a Ivrea. E’ l’ultimo edificio dell’utopia olivettiana, il primo che nasce al di fuori del suo stimolo diretto.
La scelta consapevole dell'industriale Adriano Olivetti di rendere la città d'Ivrea vetrino del Movimento Moderno rientra in quel piano di trasformazione sociale e formale del territorio che ha dato luogo a più di seicento progetti di edifici e, l'accento più forte di questo sperimentalismo, voluto da questo moderno mecenate, si può in particolar modo cogliere proprio nell' "Unità residenziale Est" dei giovanissimi architetti Cappai e Mainardis; edificio polivalente che raccoglie dentro di sé funzioni diverse, una "città nella città" che quasi provoca e affronta la città storica, rileggendone e sovvertendone la fisionomia: le strade si fanno corridoi, le case si fanno stanze d'albergo, le piazze si fanno hall; la società sta cambiando, il '900 ha portato grossi sconvolgimenti e ora poi entra in gioco pure il '68: non si può che parlare di rivoluzione, la stessa che veniva invocata dagli Archigram e dai Metabolist in opposizione alle posizioni accademiche troppo stagnanti di quegli anni. Cappai e Mainardis si fanno i portavoce italiani di questi animi e trovano a Ivrea, proprio grazie all'Olivetti, un terreno fertile in cui lavorare.
Costruito tra il 1967 e il 1973 e caratterizzato da un linguaggio architettonico associato all'immaginario della Pop Art degli anni '60, l'edificio ha un'organizzazione planimetrica molto complessa, distribuita su sei livelli a partire dal seminterrato (dove le rovine romane sono strutturate in un itinerario), che gioca sulla riproduzione della complessità dello spazio urbano della città antica in una vena critica.