Buoni edifici, meravigliose macerie
La comune credenza per cui il Partenone costituirebbe
uno schema incredibilmente complesso di misure esattissime, senza deviazioni o errori è del tutto falsa.
La dimora della dea Atena, fu eretta per essere rimirata dall'occhio umano, e non perchè su di essa meditassero il cervello calcolatore o l'intelligenza divina.
Le deviazioni da un'esatta uniformità, pur essendo sicuramente intenzionali, furono adottate a caso, con un fine puramente estetico, allo
scopo di temperare una rigidità matematica priva di vita
con quelle minute irregolarità che distinguono l'organismo vivente dal suo modello generico astratto.
La nostra identità è legata indissolubilmente ai luoghi in cui viviamo e si modifica con essi.
Potremmo dire che gli oggetti davvero belli sono quelli dotati di valori intrinseci che sappiano resistere alle nostre proiezioni positive o negative su di essi, quelli che incarnano qualità positive anziché limitarsi a suscitare ricordi. In questo modo sopravvivono alle loro origini nel tempo o nello spazio e comunicano le loro intenzioni anche molto tempo dopo la scomparsa dei destinatari iniziali.
Nicola Braghieri, nella sua monografia dedicata a Kahn, osserva come “ il fascino che esercita la rovina è il fascino della sua riacquisita natura originale di sola forma e sola materia. E`architettura pura, che ha perso la sua funzione e ritorna alla sua dimensione semplicemente formale.E`oggetto inutile...sopravvissuto alla necessità e oggi venerato per quello che è non per quello a cui serve o è servito. Le vestigia degli edifici antichi sono immortali, fuori dalle regole, fuori dallo scorrere degli avvenimenti.
Oggetti esemplari nella loro forma ci permettono di non confondere le rovine con le macerie e pescare a piene mani dalla nostra percezione e dai nostri ricordi, dando rilievo a momenti e visioni che sono diventate nostre.
Così la luce diventa l’origine di tutto diventa l'emozione vibrante di un edificio come la Ex Sertec a Ivrea progettata dall'architetto Sgrelli: dal momento in cui colpisce la superficie delle cose ne delinea i profili e producendo le ombre dietro gli oggetti, ne coglie la profondità.La luce diventa percezione dello spazio attraverso il tatto e la vista, il primo determina la forma plastica e il secondo restituisce l’apparenza. La luce diventa il mezzo per rendere concreto il vuoto.
La materia caratterizza invece le linee sinuose del ponte sul Basento, detto anche ponte Musmeci o ponte dell’Industria. Fu progettato da Sergio Musmeci a partire dall’anno 1967 per connettere la città di Potenza. La struttura portante, calcolata secondo il principio della minima sezione resistente, è una membrana continua di cemento armato dello spessore medio di 30 cm. Su di essa è adagiato il piano stradale, che tocca la membrana in 32 punti (16 per lato). Lungo i fianchi della membrana è chiaramente leggibile la trama lignea delle casseforme. Quest’effetto di ruvidezza della superficie contrasta con la sinuosa plastica della lastra di calcestruzzo e testimonia la difficoltà di realizzazione dei casseri per il getto in opera; allo stesso tempo questa rugosità – probabilmente non cercata dal progettista – ha il merito di integrare con maggior efficacia questo singolare oggetto plastico all’interno del paesaggio in cui è inserito, a cavallo tra l’urbano e il naturale.
La stessa importanza della forma e della materia è presente nell' Hotel Forum di Janusz Ingarden a Krakow, Poland.
L'Hotel Forum è stato costruito in una posizione di rilievo sul fiume Vistola, a breve distanza dal Castello Reale di Wawel. L'edificio è una specie di megastruttura - lunga 110 metri e alta circa 40 metri. La sua forma è piegata in base al litorale del fiume. Il blocco principale è sollevato dal suolo su diverse torri di servizio verticali.
Analoghe riflessioni si possono fare per il Foro Boario di Giuseppe Davanzo a Padova che è tra gli edifici del secolo scorso che per forma e dimensioni dà un vestito architettonico e urbano ad una periferia senza qualità.Davanzo si accinge a rendere attuale, coni nuovi materiali, con le accresciute dimensioni, la diversa permanenza e la scala architettonica che diventa urbana.La tecnica realizzativa è quella della prefabbricazione del calcestruzzo precompresso, con maturazione a vapore, che, negli anni sessanta del secolo scorso, è "ancora legata ad una progettualità colta, ancora ben lontana dalla degenerazione seriale degli anni settanta e ottanta. Oppure nell'edificio della Marxer Pharmaceutical Laboratory and Research Institute a Loranze, Ivrea (Torino) progettato da Alberto Galardi dove i volumi sono realizzati in cemento armato a vista, le quote più esposte al sole sono protette da schermi in cemento armato, mentre la facciata sud-est dell'istituto di ricerca, che richiede più illuminazione naturale, non è schermata. Lo spazio accessibile, situato tra il dispositivo di schermatura e la parete di vetro, favorisce la circolazione dell'aria esterna per favorire un'efficace ventilazione delle facciate.L'illuminazione della parte centrale del laboratorio di produzione è verticale, tramite cupole in perspex posizionate su cilindri prefabbricati.
Altro episodio è costituito da La Serra di Igino Cappai e Pietro Mainardis progetto di un' unità polifunzionale a Ivrea. E’ l’ultimo edificio dell’utopia olivettiana, il primo che nasce al di fuori del suo stimolo diretto. Costruito tra il 1967 e il 1973 e caratterizzato da un linguaggio architettonico associato all'immaginario della Pop Art degli anni '60, l'edificio ha un'organizzazione planimetrica molto complessa, distribuita su sei livelli a partire dal seminterrato (dove le rovine romane sono strutturate in un itinerario), che gioca sulla riproduzione della complessità dello spazio urbano della città antica in una vena critica.
Anche una piccola chiesa a Padova progettata dall'architetto Sergio Pasqualotto riassume in sé queste caratteristiche di porsi al di fuori dello scorrere degli avvenimenti.
Essa viene trattata come un volume rettangolare, chiuso nella verticale da una copertura a curva iperbolica: il rimando è alle coperture degli hangar, probabilmente indotta dalla vicinanza all’aerodromo di via dei Colli. Così una tipologia assolutamente utilitarista ed industriale, quasi un ready-made, viene associata a luogo del sacro e del culto, seppur nobilitata dall’uso di lamiera di rame e di una curata tessitura a mattoni faccia a vista, che tampona la facciata d’ ingresso e la base perimetrale.
A questi edifici associo anche la tribuna dell'ippodromo di Padova dove il fascino della sua riacquisita natura originale di sola forma e sola materia sta nella sua permanenza immutabile. Progetto del 1962 è ancora uguale sia nella struttura che nei miei ricordi.