Paolo Mazzo, Mimo Visconti e Francesco Di Loreto sono tre fotografi giovani giovani (28, 25, 25 anni), uno di Padova, uno di Desenzano e uno di Narni, hanno studiato fotografia a Milano e hanno cominciato a lavorare insieme con la sigla “Famiglia Trentotto”. Un bel giorno Paolo e Mimo sono andati in America a fare gli assistenti fotografi per una ditta di Bologna e ci sono rimasti un mese e mezzo.
Sono arrivati a New York, hanno preso un aereo per Denver e sono andati in una tenuta a 3.000 metri di altezza vicino a Boulder, sul Mudlake, sotto la montagna sacra degli indiani Arapaho, ospiti di una miliardaria bellissima che viveva con un lupo vero, un pitone e i topi allevati per nutrirlo, un pappagallo e una mandria di cavalli pezzati e aveva la casa tappezzata di pelli di coyote e di giaguaro. Sono arrivati la notte e hanno aspettato infreddoliti nei loro jeans che si facesse giorno girando per la tenuta, rapiti dall'atmosfera del posto e dal racconto del loro ospite che ne desriveva la vita come in una favola di Walt Disney, dove la magia di New York veniva sostituita dalla stranezza di anatre e castori nel lago tra pesci che saltavano e canoe canadesi che facevano sognare trappers pioneristici, hanno mangiato pastasciutta all'alba e finalmente alle sette sono andati a dormire sotto una finestra dalla quale dopo tre ore entrò una luce abbagliante e la visione di una vegetazione intatta di alta montagna.
Hanno comprato due campers, sono andati da un meccanico che aveva un cimitero delle macchine (una realtà che ha sempre esercitato su loro un grande fascino) e lì hanno preso coscienza del mezzo che avevano in mano con le loro Nikon e Olympus non professionali: erano partiti per fare un lavoro pesante che non consentiva tempo per le fotografie in proprio e ora decisero di fotografare quello che vedevano impegnandosi col loro occhio più che col mezzo tecnico, rinunciando per esempio a usare il colore che avrebbero sicuramente usato se si fossero trovati in altre situazioni.
Così sono andati a Boulder e hanno scoperto la realtà dei supermarket della provincia, delle little towns americane; anche quella di un artigiano che viveva in una log cabin con una ragazzina di sedici anni bellissima e bionda tutta vestita di nero, che dormiva in una bara foderata di seta rossa, col permesso della madre di chiudersela addosso quando era stata particolarmente buona.
Stavano nell'involucro dei campers come dentro un televisore, ed erano dentro e fuori il televisore, mentre dal finestrino vedevano svolgersi il film che loro chiamano della scoperta dell'America, dove ogni colpo d'occhio era un avvenimento e ad ogni sguardo si poteva essere rapiti da una nuova realtà: dall'enorme quantità di colori del paesaggio, da quanto potesse essere basso e profondo il cielo con le sue nuvole, dalle enormi distese di cactus, abituati com'erano a vederli soltanto nei vasi.
I due campers, che si chiamavano Penna Bianca e Penna Gialla, due vecchi cassoni dei primi Anni Settanta, sono stati protagonisti da questo da questo momento del “giro in tondo” che ha prodotto queste fotografie, slegate da itinerario e cronologia e unite soltanto da intuizioni, sensazioni, visioni, tensioni, gioco grafico, grande divertimento, sbigottimento o meraviglia via via che le scene per loro fatate gli si presentavano agli occhi nei lunghi 12.00 chilometri del loro irtinerario magico.
Così nacquero queste pagine dove una macchina è sempre affiancata da due soggetti e dove i luoghi si accavallano senza unità geografica, Goldhill nel Colorado e Salt Lake nello Utah, il deserto dell'Arizona e il grattacielo di Seattle, un negozio di curio del Texas e una cucina della California.
Alle luccicanti, orgogliose, presuntuose supermacchine americane sono così affiancati momenti della vita quotidiana d'America: le villette di legno – project housing della Pennsylvania e la sconfinata autostrada dell' Arizona con una Cadillac (dove la macchina è legata alle immaginida un motivo di prospettiva centrale e dalla linea di fuga simile a quella del cofano), un driftwood della California e una parete di teenagers con una Mercury (dove il profilo di un poster richiama il profilo che si indovina nel legno e quello speculare della macchina affiancata), una scultura del Guggenheim Museum e la casa dello scultore Modica con una Chrysler (dove la macchina affiancata è “incartata” come un “pacco” di Christo e i ghirigori in ferro battuto richiamano le decorazioni della scultura e quelle della ringhiera della casa), i palloncini colorati per il compleanno di Topolino in California e un'altra scultura del Guggenheim Museum che rappresenta una delle macchine stritolate di Chamberlain con una macchina da corsa (dove l'accostamento tra l'automobile e i due soggetti è dato da un movimento grafico circolare e anche da una suggestione del gioco prodotta dai numeri sulla macchina da corsa, con la lucidità della sua competizione che evoca l'insistenza sferica dei palloncini),
un cactus del deserto californiano e un carrello di rottami nell'Arizona coi resti di una Chevrolet (dove la terra si presenta con elementi secchi e obliqui, puntuti e aspri che danno il senso del passare del tempo), un altro cactus della California con un camping nel deserto californiano affiancati al particolare di una De Soto abbandonata tra il fogliame nell' Arkansas (dove una sensazione di calma, di rotondità, di immobilità contradditoria evoca un volto dimesso dell'America), rottami di ferro in Arizona e alberi secchi del deserto californiano affiancati a pezzi di Chevrolet e Dodge /( dove le immagini sono legate dal disordine, l'abbandono e la scheletricità), una vetrina di galleria d'arte di So-ho con un'immagine della casa dello scultore Modica a So-ho legate a un altro close-up di una de Soto in Arkansas (dove il motivo è costituito dalla rettangolarità intesa come un palcoscenico), una scala a chiocciola di una chiesa a New York e una casa a S. Francisco affiancate a una Cadillac arrogante (dove il senso mistico, monumentale dell'architettura è rappresentato da una spinta verso l'alto), la strada 666 in New Mexico e lo sviluppo della spirale del Guggenheim Museum affiancati al cofano di una Plymouth (legati da tre modi diversi di essere linee nere, viste dal basso, dall'alto e in orizzontale).
Ho fatto degli esempi e si potrebbe continuare: una vista notturna di Los Angeles con un paesaggio urbano al neon di New York affiancati a una Pontiac (legati per il fatto che sono immagini nere tali da dare un'idea dei bassifondi e della spettacolarità resa dai giochi di luce), cassette postali nella campagna del Colorado e un camion davanti al Lago Salato nello Utah con i due campers protagonisti del viaggio (dove gli abitacoli bianchi sono di tre tipi, quello delle casette, quello del container del camion e quello del corpo del Winnebago, e i profili delle montagne ritornano nella targa dell'automobile), una spiaggia della California e una vista di San Francisco da Sausalito col fianco di di una Plymouth (dove la linea orizzontale divide in due le immagini bloccando chi guarda nella parte bassa e dando una possibilità di fuga nella parte alta).
Le fotografie sono 105 e non possiamo descriverle tutte, ma è moltointeresante e personale il criterio che le unisce tre a tre, sempre basato su immagini visive, su contesti formali, su affinità sociali: un oggetto è legato a un'automobile per omogeneità culturali che sembrano estranee a motivi contenutistici e sono uniti invece da indizi morfologici sotterranei; sto pensando a tre fotografie, una di un ufficio a Santa Rosa in California, una di un semaforo in vendita in un negozio del Texas e una di una corriera dell'Oregon dove apparentemente le tre situazioni sono sconnesse e invece sono legate da una freccia sempre presente.
Questa America può riuscire sorprendente a chi conosce le rotte turistiche o cittadine, a chi la conosce tra un aereo e l'altro o a chi la conosce amorosamente da decenni attraverso la guida artisti o scrittori.
Le cassette delle lettere possono essere quelle dove si è andati a ritirare la posta con gli amici, i supermarket quelli dove si sono comprati biscotti e acqua minerale, i musei quelli dove si sono guardati trepidanti i miti di una cultura amata; ma i driftwoods visti a Carmel sulla via di Big Sur, i camion vissuti sulla via di Boulder, i monoplani angoscianti dell'Illinois sulla via di Spoon River hanno poco a che fare con questa America di oggetti sfolgoranti e di attimi di desolazione, di contraddizioni e di contrasti, di sogno e di contatti reali.
E' importante l'assenza di personaggi in questa America che ha sedotto i fotografi della Famiglia Trentotto per il suo aspetto di enorme giocattolo di una dimensione sempre rdotta all'attimo in cui passa davanti agli occhi, di un incalzare incessante di sorprese che non consentono momenti di distrazione.
I personaggi sono estranei alla loro scelta i lavoro: Paolo, Mimo e Francesco fotografano solo oggetti. Ma li fotografano interpretandoli, divertendosi, scoprendone gli aspetti ludici. Come si conviene ai giovani, ma anche agli artisti.