Arsia fu costruita in un anno e mezzo dal regime fascista italiano, in base del progetto dello studio Pulitzer di Trieste (architetti Pulitzer, Ceppi, Finali, e gli sloveni Rado Lah e Franjo Kosovel), ed inaugurata il 4 novembre 1937. Si trattava della prima città a carattere minerario progettata e costruita dal regime e ad essa seguì Carbonia. Sorse in una zona appena bonificata, con la regolamentazione del torrente Carpano ed il prosciugamento del lago omonimo, per favorire l'insediamento delle famiglie dei minatori impiegati nello sfruttamento delle vicine miniere di carbone.
L'abitato, d'impronta razionalista, fu dotato dei principali servizi: scuole, un ospedale, un campo sportivo, un ufficio postale, un cinema ed un albergo. La chiesa, dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori, è opera, come il municipio, dello stesso Pulitzer Finali. Si presenta con la forma di un carrello da minatore rovesciato mentre il campanile ricorda le lampade impiegate in miniera.
Inizialmente chiamata Liburnia, venne eretta in comune autonomo nel 1938, quando contava già 10.000 abitanti e lo sfruttamento delle miniere di carbone era al culmine, con 160 chilometri di gallerie già scavate che raggiungevano anche i 350 metri di profondità.
Dal 1943 al 1945 venne occupata da una guarnigione della Germania nazista. Venne poi presa dai partigiani iugoslavi, che destinarono al lavoro nelle miniere prigionieri e condannati ai lavori forzati.
Nel dopoguerra avvenne l'esodo della gran parte delle famiglie italiane, pur se in larga maggioranza d'estrazione operaia e se molti, almeno inizialmente, avevano guardato con condiscendenza al nuovo ordine comunista iugoslavo.
Annessa alla Repubblica Socialista Iugoslava, nel 1961 vi fu stabilita una colonia di bosniaci che crebbero fino a rappresentare un terzo della popolazione del comune, ma al 2001 sono censiti solo in alcune centinaia. Mentre la comunità italiana è costituita oggi da meno di un centinaio di persone.